Marina di Pisa

Fattoria e Cascina Appolloni

1780c - Via della Foce

Con il taglio ferdinandeo del 1606 voluto da Ferdinando I dei Medici per il miglioramento del deflusso delle acque, le due torri (esistenti già dal XI sec.) poste a guardia e difesa dell’ingresso dell’Arno, si trovano dislocate in modo totalmente nuovo rispetto il corso del fiume e inoltre con l’avanzata della linea di costa la funzione militare è per entrambe totalmente pregiudicata. La torre che prima del taglio dell’Arno era collocata sulla sponda destra, evidentemente l’unica delle due armata e costantemente presidiata, si ergeva su un punto molto elevato del possesso arcivescovile di San Rossore, e doveva essere più dell’altra ampia alta e resistente, servendo non solo a controllare l’accesso fluviale ma anche a trasmettere al governo della Repubblica le segnalazioni ricevute, venendo così a costituire una specie di terminale di quella sorta di sistema telegrafico, a mezzo di segnali con fuoco e fumo, che si stendeva dall’arcipelago (Elba, Capraia, Gorgona e Giglio) fino a Pisa. Circa a metà del 1300 la torre è presidiata in permanenza da dodici (poi quindici) soldati, con un sergente, reclutati tutti tra i marinai, esclusi quelli abitanti nel borgo di Foce d’Arno o nel paese di S. Piero a Grado: non devono essere di età superiore ai cinquant’anni, né minore di venti e sono obbligati a prestar giuramento davanti ai Consoli del Mare prima di prendere servizio. Questo consiste nel rimanere a turno in numero non maggiore di due sempre a guardia della torre; nel consigliare i nocchieri o i padroni dei legni a non uscire dalla foce quando il tempo o le condizioni del mare non lo permettono, coll’obbligo di denunziare ai predetti Consoli i disobbedienti, i quali possono essere condannati a pesanti
multe pecuniarie. Alla torre è inoltre attribuito il compito di segnalare “per via di fuoco al Porto Pisano, e alzando e abbassando una vela, le condizioni di navigabilità del fiume, e di sondarlo giornalmente e di indicare, piantandovi una frasca, dove la fiumara faceva canale perché detto canale spesso si tramutava come Arno ingrossava.”
La guarnigione è al comando di un ‘castellano’, che non può assentarsi dalla torre che una volta al mese e per un solo giorno.
Anche se non conosciamo la data di costruzione originale della torre di Bocca d’Arno sappiamo però che venne ricostruita e ampliata nel 1355. L’edificio, a pianta quadrata o rettangolare con lati di dimensione compresa tra i 5-6 ed i 10- 12 metri, probabilmente con un basamento a scarpa, presenta una terrazza sommitale di avvistamento, dalla quale si segnala anche con le torri vicine.
L’accesso alla torre avviene generalmente attraverso una semplice porta rettangolare aperta nel muro al piano rialzato, dal lato opposto a quello volto verso il mare, e a cui si arriva solo per mezzo di una scala esterna che termina con un piccolo ponte levatoio al piano.
Nell’estate del 1500 la torre è brevemente persa durante la guerra contro Firenze. Tra il 1576 (accessione al trono di Francesco I) e il 1765 (anno in cui arriva Pietro Leopoldo) si ha un lungo arco di tempo caratterizzato da un clima che potremmo chiamare di pace operosa. Anche le antiche torri costiere del Granducato, tra queste quella di Bocca d’Arno, finiscono per perdere (così come del resto la marina militare) buona parte delle loro funzioni più spiccatamente belliche mantenendo il compito di assicurare le coste dagli attacchi dei barbareschi, e in una certa misura quello di controllo del litorale, vigilanza doganale e presidio sanitario.

1749app004

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1749 – L’ufficiale del Granducato di Toscana Edward Warren incaricato di censire e verificare lo stato delle strutture che costituiscono il sistema difensivo della toscana descrive l’unica torre rimasta a guardia di Bocca d’Arno: una pianta di m. 4.40 x 5.45, che si sviluppa in alzato su tre piani fuori terra, con una altezza totale di m. 11,10 e termina con copertura a terrazza. Un edificio ad un piano, coperto a tetto, gira su tre lati della torre, portando ad un complesso edilizio planimetricamente rettangolare di m 8,90 x 14,50. Sul lato libero della torre una scala estema conduce al primo piano, mentre una piccola scala intema collega i tre piani e la terrazza di copertura. A fianco della scala esterna è disegnato un piccolo forno. Nel corpo di fabbrica basso di un piano vi era una stalla grande, una stalla più piccola e un terzo vano usato come “stanza di comodo”. La rappresentazione in alzato è accompagnata da una prospettiva nella quale, oltre all’articolazione volumetrica dell’edificio, si leggono alcuni elementi del contesto ambientale, le alberature e un corso d’acqua che corre ad una distanza di 20-30 metri dall’edificio, e un recinto fortificato da mezzi bastioni e cortine. La rappresentazione grafica è abbastanza esauriente nel descrivere I’edificio, ma non sufficiente a leggerne la collocazione sul terreno, specie per quanto riguarda la distanza dal mare, la quale viene comunque precisata in un miglio e mezzo (m. 2480) nella relazione. I motivi di inadeguatezza della vecchia torre quadrangolare sono vari, come si legge nella relazione Warren, ove fra l’altro è detto che ‘l’ultimo piano ove avrebbe dovuto trovar posto I’artiglieria non era capace di sopportarla, in caso di bisogno vi si manda un cannone che viene piazzato al piede della torre; ci sono dei quartieri per il castello e soldati ma non vi risiedono, vengono lì mandati quando si presenta la necessità.“ In ultima analisi la situazione critica sembra riassunta nella affermazione che la torre “non è più armata da gran tempo”.

Nell’ottica di una migliore gestione dei territori del Granducato Pietro Leopoldo I di Lorena ordina che la Tenuta di Arnovecchio nata dalla deviazione verso nord della foce del fiume Arno venga ceduta o data in affitto.
Con l’ausilio dell’Ingegner Giovanni Caluri vengono eseguite nuove piante della tenuta, ristabiliti i confini tra la proprietà del granduca e quella della Mensa Arcivescovile di Pisa, decisa la costruzione degli edifici che ospiteranno i contadini.

1780 – La tenuta di Arnovecchio, viene divisa in 5 poderi: del Gallo, dell’Anatra, del Pappagallo, del Golombaccio e quello Nuovo della Torre, per i contadini che li gestiranno vengono progettate e costruite attorno all’antica torre di guardia, oramai inutillizzata, 5 case coloniche. La torre è inglobata in uno degli edifici.

1781 – Pietro Leopoldo concede in enfiteusi a Lazzero Appolloni di Bagni di San Giuliano e ai suoi figli e discendenti l’intera tenuta esclusi alcuni terreni che rimangono di pertinenza di forte e dogana per 550 scudi annui.

1800 circa – Per meglio sfruttare il territorio dal punto di vista agricolo gli Apolloni edificano una nuova casa colonica divisa in tre unità abitative. L’edificio viene costruito nella zona detta “dei Poggi lungomare”, a poca distanza dalla Dogana. La vicinanza con il mare fa si che per arrotondare gli esigui guadagni dati dalla terra le famiglie Tangheroni e Silvestri ospitino nella loro casa durante il periodo estivo fino a 150 persone bisognose di cure marine provenienti dalla città e dall’entroterra di Pisa.

1860 – Con regolare atto di affrancazione livellaria (la rendita è stata trasferita nel marzo del 1849 all’Arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze) i nipoti di Lazzero Appolloni diventano definitivamente proprietari di Arnovecchio. 

1869 – Il 3 giugno viene sottoscritto un accordo con il comune per la vendita di una superfice nella proprietà Appolloni costeggiante l’Arno sulla quale verrà tracciata la strada che porterà i bagnanti ai nuovi stabilimenti balneari, la Stada Comunale Argine di Marina.

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1872 – A marzo il Comune di Pisa delibera l’acquisto e in parte la permuta di nove piccole strisce lungo la golena, dal confine con la Lista Civile al possesso Ceccherini e una fascia di terreno costiero di circa due km e larga 300 mt. Il contratto tra il cavalier Giovanni, il dottor Giulio del fu Agostino Appolloni e il sindaco Giuseppe Bianchi è datata 24 giugno 1872 e porterà il comune di Pisa all’esborso di 102.722,50 lire, la cessione del tratto della via Vecchia di Marina che attraversa le proprietà Appolloni e due preselle edificabili sul futuro lungomare, la n. 101 e 102.

1909 – «Essendo ormai quasi totalmente sfruttata la pineta comunale per uso fabbricativo, all’effetto di provvedere in tempo utile ai bisogni ineluttabili di quel fiorente paese, il quale reclama uno spazio per l’ampliamento»: questa premessa alla delibera della Giunta Municipale del 7 settembre 1909 sintetizza con efficacia quale sia la situazione delle aree edificabili a Marina. L’atto deliberativo indica «la necessità di addivenire a trattative coi Sigg. fratelli Appolloni». E dunque, traccia la direzione obbligata verso la quale il nuovo paese può ampliarsi: la pineta di Tombolo. In effetti le cose sono già andate molto più avanti di quanto la delibera lasci credere. Il sindaco ha già ricevuto dal 20 giugno una lettera inviata dal signor Agostino Appolloni, nella quale lo scrivente, «previe intelligenze verbali avute con l’assessore ai Lavori Pubblici, offre di vendere una zona di pineta al prezzo di lire 0,65 al metro quadrato». Ed è anche già pronta la perizia per stabilire il valore del soprasuolo redatta dal tecnico, Enrico Ottina, incaricato dal Comune fin dal 9 marzo, che stabilisce che su quei 28 ettari di pineta, si trovano ben 8.950 piante corrispondenti ad un totale volume di legno di metri cubi 2.849,95, valutati, assieme al macchiatico, lire 42.949,25. Ma le 120.500 lire offerte dal Comune, sulla base della perizia Ottina e della valutazione del terreno fatta dall’Ufficio Tecnico, sono ben lontane dalle 140.000 richieste dai fratelli Appolloni, che oltre tutto minacciano di tagliare la pineta nel caso in cui non si raggiunga un accordo. Stando così le cose, viene anche considerata la possibilità di fare ricorso all’espropriazione per pubblica utilità, ma alla fine sembra molto più opportuno «stringere solleciti, equi, amichevoli accordi», anziché imbarcarsi in una lunghissima diatriba, con il rischio di trovarsi senza il verde, balsamico baluardo che protegge il paese dai freddi venti di tramontana. L’accordo viene raggiunto sulla complessiva cifra di 130.000 lire, da pagarsi in 13 annualità di 10.000, con raggiunta degli interessi del 3,75%. Ma i «tardi» nipoti di quel Lazzaro Appolloni di Arnovecchio, che così tanta parte aveva avuto nella storia della nascita e della crescita della Marina di Pisa, riescono ad ottenere anche un’altra concessione dal Comune: lo svincolo gratuito (e cioè la libera disponibilità) di quelle due preselle» n. 101 e 102, che nel 1872 erano state cedute gratuitamente alla loro famiglia senza essere retrocesse, malgrado che mai su di esse si fosse iniziato a costruire.

1925 – Per mancanza di successori della famiglia Appolloni o per terminato interesse la proprietà passerà successivamente alla ditta Tardia e Comp.

1933 – Viene acquistata dalla Fondiaria Agricola Toscana di Carlo Orsini Baroni. L’edificio centrale viene ristrutturato e modificato nelle forme per assomigliare ad un tipico casale lucchese.

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Nicolò’ Orsini Baroni
Nicolò’ Orsini Baroni
8 mesi fa

Un piccolo errore, fu Carlo Orsini Baroni (mio nonno) a ristrutturare l’edificio centrale della Tenuta di Arnovecchio, Luca Orsini Baroni , nostro cugino, Ambasciatore d’Italia possedeva la Villa la Principessa vicino a Lucca.